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Chi era il socialista Adriano Olivetti

Di Giu­seppe De Rinaldis

Si dice che, quando Adriano Oli­vetti chiese di iscri­versi al Par­tito Socia­li­sta, anche la cor­rente mag­gio­ri­ta­ria che pro­cla­mava 1″‘autonomismo" dal modello comu­ni­sta, tentennò.

Si era infatti con­vinti che in un par­tito di "lavo­ra­tori" un "padrone"; pur se ani­mato di buone inten­zioni, non potesse tro­varvi posto. La man­cata intesa indusse allora Oli­vetti a ten­tare la strada di una nuova for­ma­zione poli­tica, quel movi­mento "Comu­nità" che, ideato subito dopo la guerra e spe­ri­men­tato con suc­cesso a livello ammi­ni­stra­tivo locale a Ivrea e nel Cana­vese, affian­cato da un sin­da­cato col­la­te­rale "auto-nomo" dalle grandi con­fe­de­ra­zioni nazio­nali, ma non banal­mente "padro­nale"; attra­versò per pochi anni, tra la fine degli anni Cin­quanta e l'inizio dei Ses­santa, anche la scena poli­tica nazionale.

]:epi­so­dio appare però emble­ma­tico, non solo della chiu­sura di oriz­zonte della cul­tura di sini­stra dell'epoca, ma più in gene­rale della arre­tra­tezza di tutta la società ita­liana: e infatti Oli­vetti non tro­vava migliore acco­glienza negli ambienti con­fin­du­striali così come in quelli libe­rali e con­ser­va­tori, per non par­lare di quelli demo­cri­stiani e cattolico-sociali.

Anche se molto è stato ormai scritto su quella sin­go­lare espe­rienza poli­tica (del resto esau­rita, con la morte prema-tura del suo fon­da­tore, nell'arco di una sola legi­sla­tura) resta

da appro­fon­dire il con­te­sto cul­tu­rale in cui essa maturò e la dimen­sione della sua ere­dità, effi­mera sul piano poli­tico, ma straor­di­na­ria pro­prio su quello culturale.

Il suo socia­li­smo uto­pi­stico era certo anche nutrito dal-le otto­cen­te­sche espe­rienze dell'industriale gal­lese Robert Owen — 1771/1858 — , (ma anche dal pen­siero dell'economista e filo­sofo Pierre-Joseph Prou­d­hon — 1809/ 1865 — , Char­les Fou­rier — 1772/1837 — , Giu­seppe Maz­zini, Carlo Cat­ta­neo) a suo tempo liqui­date da Karl Marx per la loro uto­pi­stica (appunto) inconsistenza.

Ma pro­prio quella pre­sunta, loro debo­lezza dot­tri­nale, quel-la loro ina­de­gua­tezza di fronte alla pro­rom­pente rivo­lu­zione del capi­ta­li­smo indu­striale, appa­ri­vano adesso, alla metà delXX secolo, di nuovo inte­res­santi, alter­na­tive al fer­ri­gno modello del comu­ni­smo sovie­tico e del suo greve sta­ta­li­smo auto­ri­ta­rio, più adatte a misu­rarsi con le inci­pienti tra­sfor­ma­zioni eco­no­mi­che e tec­no­lo­gi­che e le stesse crisi di svi­luppo che il capi­ta­li­smo in Occi­dente inco­min­ciava a incon­trare e che il rifor­mi­smo for­tu­nato delle social­de­mo­cra­zie euro­pee sem­pre di più, avrebbe sten­tato a gestire.

Si pensi ad esem­pio alla visione oli­vet­tiana di una orga­niz­za­zione politico-sociale del ter­ri­to­rio che inte­grava in esso la fab­brica; non più come anta­go­ni­sta e pre­da­trice, ma come com­ple­mento vir­tuoso del suo armo­nico pro­gresso, tanto ci-vile quanto eco­no­mico. In que­sto con­te­sto, l'organizzazione politico-istituzionale non poteva che essere fede­ra­li­sta (quanto attuale oggi!), basata sulle più lar­ghe auto­no­mie (desunte innan­zi­tutto dai modelli sviz­zero, tede­sco e nor­da­me­ri­cano), con un par­la­mento nazio­nale di una sola Camera fede­rale eletta dalle comu­nità indi­vi­duate non solo ter­ri­to­rial­mente, ma anche per cate­go­rie e fun­zioni economico-sociali. Sin­go­lare e spre­giu­di­cata ipo­tesi, quest'ultima, che sem­brava voler addi­rit­tura mesco­lare il cor­po­ra­ti­vi­smo del pen­siero socia-le cat­to­lico con la demo­cra­zia inte­grale dei "pro­dut­tori" di ascen­denza soviettista.

D'altronde, il sim­bolo del Movi­mento Comu­nità, voluto e ideato dallo stesso Oli­vetti, era una cam­pana (non solo la cam­pana della tra­di­zione reli­giosa cri­stiana, ma anche la "squilla" dei laici e liberi Comuni).

"fiu­mana civi­li­tas, civiltà umana, è scritto sul nastro che avvolge la cam­pana" — scri­veva Adriano Oli­vetti su "Città dell'uomo" nel 1959 — "Ognuno di noi può suo­nare senza timore e senza esi­ta­zione la nostra cam­pana. Essa ha voce sol­tanto per un mondo libero, mate­rial­mente più fasci­noso e spi­ri­tual­mente più ele­vato, essa suona sol­tanto per la parte migliore di noi stessi, vibra ogni qual­volta è in gioco il diritto con­tro la vio­lenza, il debole con­tro il potente, l'intelligenza con­tro la forza, il corag­gio con­tro l'acquiescenza, la soli­da­rietà con­tro l'egoismo, la sag­gezza e la sapienza con­tro la fretta e l'improvvisazione, la verità con­tro l'errore, l'amore con­tro l'indifferenza… Occorre soprat­tutto fede nella reden­zione dell'uomo, nell'ascesa verso una Comu­nità più libera spi­ri­tual­mente e mate­rial­mente più alta, in un mondo più degno di essere vissuto".

Vico Avalle ci ha sem­pre ricor­dato che il socia­li­smo di Adriano era soprat­tutto per­so­na­li­sta. E visi­bile è in lui l'influenza del pen­siero di Jaques Mari­tain e del "per­so­na­li­smo comu­ni­ta­rio" del cat­to­lico sociale Emma­nuel Mounier.

Molti dun­que videro in Adriano Oli­vetti uno dei tanti socia­li­sti uto­pi­sti, gene­rosi, magni­fici nel donarsi, nel pagare sem­pre di per­sona, ma fra­gili vasi di coc­cio tra i vasi di ferro della poli­tica "vera", spre­giu­di­cata nei cini­smi, nelle ipo­cri­sie, nel cal­colo sem­pre uti­li­ta­ri­stico delle con­ve­nienze piut­to­sto che dei valori!

Egli tut­ta­via pre­di­cava il germe di un'Italia nuova: di quell'I-talia "civile" che non si era pie­gata al fasci­smo, che aveva saputo fare le sue scelte di libertà e dignità nell'ora della disfatta 1'8 set­tem­bre 1943, che aveva saputo rico­struire, a guerra finita, un paese più moderno e più libero. Di quell'Italia laica e demo­cra­tica che non aveva voluto uni­for­marsi ai nuovi con­for­mi­smi e ai dog­ma­ti­smi d'importazione sovie­tica. Di quell'Italia, soprat­tutto, che era con­sa­pe­vole che la sal­vezza sarebbe venuta dal legame sem­pre più stretto con l'Europa, con le grandi demo­cra­zie occi­den­tali, con l'allargamento del-la cul­tura scien­ti­fica e tec­no­lo­gica, con l'industrializzazione come scelta non solo eco­no­mica, ma di svi­luppo civile.

Emble­ma­tica appare ancora oggi, l'intuizione di promuove-re siner­gie indu­striali che anti­ci­pino le ten­denze glo­ba­liz­zanti, ma a par­tire dall'Europa verso gli Stati Uniti e non sem­pre solo vice­versa. Pur nel suo esito delu­dente, tale va valu­tata l'operazione Under­wood e il ten­ta­tivo di ampliare i set­tori di eccel­lenza dell'elettronica e dell'allora nascente informatica.

Non è un caso che Oli­vetti discen­desse da una fami­glia che univa cul­ture feconde di scambi e di espe­rienze vitali.

Per­ché, in ultima ana­lisi, il socia­li­smo "comu­ni­ta­rio" pun­tava sulla cul­tura e sulla sua dif­fu­sione, come vera e moderna leva dell'emancipazione civile e sociale. Se si pensa che la grande let­te­ra­tura scien­ti­fica inter­na­zio­nale, quella socio­lo­gica e psi­co­lo­gica, così come quella urba­ni­stica e del design indu­striale entra­vano in Ita­lia, pra­ti­ca­mente per la prima volta, gra­zie alle edi­zioni di Comu­nità, si ha un'idea di che ere­dità ha lasciato il socia­li­smo ati­pico e uto­pico, comu­ni­ta­rio e per­so­na­li­sta di Adriano Olivetti.

In tempi di con­cla­mata crisi dell'idea socia­li­sta in Ita­lia, forse è bene rian­dare a quella memo­ria e a quella espe­rienza tut­tora feconda di speranza.

Luigi Ser­gio Ricca